Doping, Johan Bruyneel: “In quegli anni era regola non scritta. Accanimento contro me e Lance Armstrong”

Johan Bruyneel è tornato a parlare ancora una volta del doping. Corridore professionista tra il 1987 e il 1998, ha poi svolto il ruolo di direttore sportivo della squadra con cui Lance Armstrong ha vinto i suoi sette Tour de France. Il belga conosce, quindi, alla perfezione la materia e negli ultimi giorni, come riportato da RTBFè tornato sull’argomento. Il fiammingo ha riconosciuto come in quegli anni l’uso delle sostanze dopanti fosse cosa nota e diffusa presso tutti i corridori e tutte le squadre. Non accetta quindi il modo in cui lui e il suo corridore sono stati trattati, anche se è consapevole di aver rappresentato una sorta di capro espiatorio di un sistema intero.

Il doping in quegli anni era una regola non scritta – ha raccontato – Correvamo tutti il rischio che un giorno qualcuno avrebbe rotto il muro del silenzio. Non avrei mai pensato che ci sarebbe stato un accanimento senza fine contro me e Lance. A un certo punto c’è bisogno di una qualche celebrità da prendere come esempio e Armstrong era la vittima perfetta”.

Sempre parlando del passato, l’ex professionista ha sottolineato come per i corridori non ci fosse scelta: “Quando passi professionista, entri in un mondo che ti mette presto davanti ad un dilemma: o ti adatti e ti dopi, oppure scompari. Il primo anno è difficile e rimani sospeso, ma poi durante il secondo anno realizzi che quelli che erano con te tra gli amatori, adesso ti staccano. All’improvviso vedi i ragazzi attorno a te diventare macchine al Tour de France. Bene, cosa fai? Puoi dire di no, ma dopo sai che dovrai dire no al tuo lavoro, la tua passione e getti via tutti gli anni di sofferenze e sacrifici per raggiungere il professionismo”.

“Quando ero professionista si trattava di iniezioni, cortisone, testosterone – ha proseguito – Dopo, come direttore sportivo, era EPO. […] C’erano direttori sportivi che sapevano benissimo come stavano andando le cose, ma hanno preferito agire come se niente fosse. Ero consapevole che con o senza il consenso del team i miei corridori si sarebbero dopati comunque. Così ho suggerito di strutturare la cosa”.

L’ex team manager ha sottolineato come anche l’UCI fosse a conoscenza di tutto questo e cercasse di contrastare il problema: “Loro sapevano. Hanno fatto tutto quello che era in loro potere. Non c’era nessuna metodologia clinica per scoprire l’EPO, così si sono basati sulla regola del 50% di ematocrito. Questo dimostra che erano consapevoli che i prodotti dopanti stavano circolando”.

Fortunatamente, però, adesso le cose sono decisamente cambiate. Lo stesso Bruyneel si sta rendendo conto di come tra i giovani corridori si stia diffondendo un approccio diverso allo sport, con la parola doping che è diventata quasi una sorta di tabù: “Sto vedendo un cambio di mentalità. Con i giovani oggi non devi nemmeno parlarci di doping. Non entra nei loro ragionamenti, è completamente fuori dalla loro cultura. Anche le vitamine sono molto limitate”.

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